LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 18
26 febbraio 2017 – 8ª domenica del Tempo Ordinario
Ciclo liturgico: anno A
La parola di Dio è viva ed efficace,
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Matteo 6,24-34 (Is 49,14-15 - Salmo: 61 - 1 Cor 4,1-5)
Padre santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle fatiche e alle preoccupazioni di ogni giorno non ci lasciamo dominare dall’avidità e dall’egoismo, ma operiamo con piena fiducia per la libertà e la giustizia del tuo regno.
Spunti per la riflessione
Prima il Regno
Insiste, il rabbì, rende concrete le beatitudini, dona sapore alla nostra vita prima di invitarci ad andare nel deserto, la prossima settimana.
La violenza, il rapporto con l’affettività, la verità di noi stessi, l’elemosina, la preghiera, il digiuno… ogni aspetto della nostra vita, nel discorso della montagna, viene analizzato, ribaltato, illuminato.
Perché il rischio della schizofrenia, sinceramente, esiste.
Pii e credenti in chiesa. Smemorati e faciloni nel mondo.
Devoti con Dio. Mondani col mondo.
Ben venga, allora, chi, per amore, ancora ha il coraggio di dirci in faccia cosa non funziona.
Senza cedere al politicamente corretto tanto di moda che nasconde, quasi sempre, la logica dell’indifferenza: va tutto bene, fai ciò che vuoi, purché tu non mi dica cosa fare.
Dio non la pensa così. Corre il rischio di essere mandato a quel paese.
Corre il rischio di venire inchiodato.
A volte chi ti vuole davvero bene si assume la responsabilità di indicarti le cose che non vanno. Come fa Gesù.
Io e mammona
Dio o mammona?
In aramaico suonava molto meglio: in chi riponi la tua fiducia (emunà)?, in Dio o in ma’amum?
Noi cattolici tendiamo a vedere nella ricchezza un ostacolo insormontabile alla nostra fede, a demonizzare il denaro. Il denaro, in sé, è neutro, come ogni altra realtà umana. Gesù non è classista, né dice che la ricchezza sia un male, anzi. Ci dice che è pericolosa perché inganna, perché promette ciò che non può in alcun modo mantenere. Si accumulano tesori in cielo condividendo quelli in terra (non solo denari ma anche capacità, tempo, qualità…).
Per la Bibbia la ricchezza (onesta) è sempre dono di Dio ma la povertà è sempre colpa del ricco: la ricchezza è donata per essere condivisa.
Dov’è il tuo cuore? Nel tuo tesoro? Poni la tua fiducia nelle cose che hai? Pensi sia sufficiente?
Gesù ci ammonisce: ogni realtà è penultima. Anche gli affetti, anche i figli. Figuriamoci le cose!
La sapienza biblica già aveva concluso nel libro dei Proverbi (30,7-9): meglio non avere né ricchezza, né povertà. Nella sazietà rischiamo di rinnegare Dio, nella povertà di maledirlo…
Affanni della vita
Gesù insiste, mettendo a fuoco una delle caratteristiche del nostro tempo: l’ansia, l’affanno, termine che ricorre sei volte in pochi versetti. Un invito rivolto al discepolo a fidarsi di Dio senza lasciare che l’ansia ci divori il cuore e le emozioni.
Siamo travolti dalle preoccupazioni, corriamo come dei matti, sempre insoddisfatti, spesso arrabbiati e polemici.
Il tema della fiducia è un tema essenziale e impegnativo, che sta in equilibrio fra affido e impegno, senza giustificare la pigrizia o assecondare l’ansia. Ansia che, dicono gli esperti, è una forma di stress della famiglia della paura, manifesta la nostra incapacità di tenere le cose sotto controllo con l’illusione di potere dominare la realtà che, ovviamente, è decisamente più ampia di ciò che possiamo controllare.
Il Signore Gesù ci invita a fare un percorso che parta dall’intelligenza per giungere al cuore e, dal cuore giunga alla fede.
Keep calm!
L’intelligenza ci porta a guardare intorno le cose come avvengono, a centrarci sulla realtà.
È uno strumento importante che ci obbliga ad uscire da noi stessi, dalla nostra autoreferenzialità, oggi quanto mai diffusa e perniciosa, noi al centro di tutto, invece di essere inseriti in un contesto.
Eppure Gesù parte proprio da me per invitarmi ad alzare lo sguardo, a guardare gli uccelli del cielo e l’erba del campo, a ragionare sul fatto che non posso aggiungere una sola ora della mia vita (questo non significa fare di tutto per accorciarla!). Intelligenza nel vedere che esiste un’armonia, una leggerezza, una sottigliezza che sono chiamato a cogliere ed interpretare.
La rigidità con cui affrontiamo le situazioni ci impedisce di vedere oltre, al di là, di ammirare l’opera potente di Dio in noi e nelle vite di chi abbiamo accanto.
È come dire: la realtà si adegui! Chi non vuole vedere non riesce a vedere.
Dall’intelligenza al cuore. Davanti a tanta armonia il cuore si converte, si commuove: esiste un Dio che conta i capelli del mio capo e che si occupa di due passeri che, pure si vendono per un soldo (Lc 12,6). Certo, ci sono molte cose che non capiamo (la violenza, il peccato che abita in noi) ma le contraddizioni sono inserite in un contesto di luce.
Matteo dice che anche partendo dall’osservare le cose positive possiamo risalire al Creatore che le ha volute. La fede ha sempre a che fare con l’intelligenza e il cuore ma approda alla volontà per far nascere la fede che è fiducia.
Alla fede
La fede nasce dal credere che questo Dio che veste i gigli del campo veste anche me!
Non facendomi trovare i vestiti all’uscio, ma facendo della mia vita un percorso che mette il Regno e la giustizia al centro, e il resto arriva in sovrappiù.
Parliamo di una misura, di una proporzione, non dell’incoscienza: non stiamo seduti ad aspettare la manna dal cielo, Dio arriva a noi attraverso gli strumenti abituali, ordinari, senza fare miracoli che pieghino la realtà.
La nostra vita è l’opportunità che ci è data per capire e per amare, per lasciarci amare attraverso percorsi che non vorremmo e che, spesso, pretendiamo di tenere in mano e, in fondo di controllare.
È naturale preoccuparsi (occuparsi prima, non ha senso!), è naturale avere paura e difendersi, è cristiano, invece, scegliere di lasciare che sia Dio a primeggiare.
Cerchiamo anzitutto il Regno, le cose di Dio, il resto verrà. Come?
Con i soliti strumenti della vita interiore: la preghiera, la vita di comunità, i sacramenti, la meditazione della Parola ma, soprattutto, lasciare che questa abitudine contagi la vita e i giudizi. E vivere nella giustizia nelle relazioni, nella correttezza (interiore, profonda, autentica) con le persone, con le situazioni, tenendo fede… alla fede.
Si può fare.
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L’Autore
Paolo Curtaz
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Esegesi biblica
DETTI DI Gesù (6, 19-34)
L’ultima parte del discorso della montagna (6,19-7,29) non è costruita come le due parti precedenti, in contrapposizione alla giustizia di scribi e alle pratiche dei farisei.
Qui si limita a radunare, senza un ordine preciso, alcune parole del Signore importanti per la vita cristiana. Non c’è un ordine preciso, però ci sono alcune insistenze, e queste danno unità alla pericope.
Matteo sembra concentrarsi su un interrogativo: come deve comportarsi il discepolo nei confronti dei beni del mondo? La risposta di Gesù è quanto mai lucida e attuale: il discepolo non deve cadere nella tentazione dell’affanno, dell’ansia, come se tutto dipendesse da sé stesso: “Non vi affannate per la vostra vita”. Al discepolo è richiesta la fiducia nell’amore del Padre. Questo non sottrae all’impegno, ma lo rende più sereno. L’ansia è l’atteggiamento dei pagani (”di tutto ciò si preoccupano i pagani”).
Lavorare, ma non affannosamente: il cristiano è un uomo libero dall’angoscia del domani. Per essere veramente sereno il discepolo deve sapere che i beni del Regno sono al primo posto (”cercate anzitutto il Regno e la sua giustizia”). Ciò significa, ad esempio, che il benessere che andiamo cercando e nel quale poniamo fiducia deve essere “un benessere globale”: deve comprendere tutte le dimensioni dell’uomo e la ragione ultima del nostro vero benessere è Dio e il suo amore.
Dunque, Matteo non invita solo alla serenità, ma anche a orientarsi diversamente nella vita: non più certi beni al primo posto, ma altri. Finché certi beni (i nostri idoli) rappresentano i valori supremi, l’ansia è inevitabile. Il mondo inganna e seduce: ci convince che solo nel possesso c’è sicurezza e gioia. E così ci rende schiavi, disposti a servirlo, e ci spoglia della nostra vera umanità, e ci ruba lo spazio della libertà.
Sta in questa stoltezza l’origine dell’ansia, nella convinzione cioè che questi beni, siano gli unici importanti e che l’uomo trovi la sicurezza nell’accumulare sempre di più per se stesso.
È una stoltezza che rende ciechi (6,22-23): l’ansia di possedere disorienta e appesantisce il cuore, e soprattutto delude. Matteo parla di beni che vengono distrutti dalle tarme e dalla ruggine, e che i ladri rubano. E alla luce di tutto questo possiamo ora comprendere tutta la profonda verità dell’affermazione: “Non potete servire a due padroni: a Dio e al denaro”. L’attaccamento al denaro è idolatria: l’uomo, cioè, non sentendosi sicuro all’ombra della promessa di Dio, pone la propria sicurezza nel denaro, illudendosi poi di avere la fede perché offre al Signore le briciole delle proprie ingiuste ricchezze. Ma questo peccato di idolatria non è soltanto contro Dio, ma ancor prima è contro l’uomo: è affanno, divisione e schiavitù.
Le parole di Gesù non si limitano a invitare alla serenità, e neppure si accontentano di disincantare l’uomo, liberandolo dal fascino illusorio del possesso, ma indicano la vera via della liberazione: “Ammassate tesori in cielo, dove né tignola né ruggine distruggono e dove i ladri non rubano”. L’importante è capire che i tesori nel cielo, non sono i “meriti”, ma la carità.
È appunto questo di cui ci parla Matteo: “Tutto quello che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”.